Olive all’ascolana, la ricetta delle olive pastellate e ripiene che nasce in un monastero italiano!

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La necessità e la qualità delle olive stesse ha portato alla loro produzione in un modo che è ancora oggi molto in vigore.

La coltivazione dell’oliva nell’Ascoli Piceno, nella regione italiana delle Marche, risale agli albori della sua introduzione nella penisola italiana per mano dei Fenici e dei Greci. Da secoli esiste la varietà Ascolana tenera, nella sua traduzione in spagnolo ascolana tenera, un’oliva che in epoca romana era conosciuta come Picenae e poi finì per essere chiamata Ascolana.

Dal I secolo ad oggi

Secondo vari scritti, anticamente il territorio di Ascoli Piceno era ricoperto di uliveti e tutti sapevano che le olivae Picenae erano le olive che arrivavano a Roma direttamente da quella provincia. Delle olive grosse e succose che lo scrittore romano Plinio il Vecchio descrisse all’epoca come le migliori d’Italia.

Inscatolamento precedente

Secoli dopo, nell’anno 1500, questa varietà di olivo continuò ad essere coltivata e curata nell’Ascoli Piceno per mano dei monaci benedettini perché fino ad allora questa zona rientrava nella regione pontificia italiana.

Ci sono documenti anteriori a quell’anno nell’archivio dei religiosi in cui è raccolto l’importante lavoro che questa Congregazione ha svolto lavorando le olive da tavola di questa zona. Furono loro che, attraverso pratiche agronomiche negli uliveti, iniziarono a sottoporre le olive ad un trattamento di conservazione -a base di acqua, calce, potassio e sale- al fine di preservare i frutti dell’olivo durante tutto l’anno. .

L’avanguardia delle olive ripiene

Ma la conservazione delle olive non fu l’unica cosa a cui questi monaci contribuirono, poiché nel XVII secolo i Benedettini iniziarono a farcire le olive con i resti delle verdure essiccate, creando uno snack completamente vegano antesignana delle olive ripiene. Fino ad allora le olive si consumavano da sole e venivano chiamate fave, poiché una volta tolto il nocciolo il frutto veniva lasciato “senza anima”.

Solo nel XIX secolo però la ricetta si trasformò e cominciò a includere la carne avanzata dalle feste e feste delle famiglie nobili cittadine, per finire con l’essere ricoperta di uova e pangrattato, creando un antipasto originario della la zona. Una ricetta di antipasti il ​​cui prodotto principale ha una Denominazione di Origine Protetta (DOP), che è sopravvissuta intatta fino ad oggi, e dove si gusta meglio e si può vedere come sono fatti, è da Oliva, nel centro storico di Ascoli Piceno .